A 220 anni dalla nascita ed a 160 dai fatti di Aspromonte (1862), sia come membro della SISME (Società Italiana di Storia della Medicina), sia come socio ANVRG, vorrei ricordare la figura del prof. Ferdinando Zannetti nei suoi tratti più salienti.
Nacque a Monte S. Savino in Provincia di Arezzo il 31 marzo 1801, come sta scritto nel certificato di battesimo del 19 aprile 1801, alle ore 3 e tre quarti del pomeriggio, da Francesco Maria di Galeata, che fino al 1923 faceva parte del territorio della Toscana, e Anna Cerboni di Monte S. Savino. Da notare che in quel momento la Toscana non era più Granducato, ma per volere di Napoleone Bonaparte era regno di Etruria governato da Maria Luisa di Borbone a seguito del trattato di Luneville del 9 febbraio 1801 che depose gli Asburgo Lorena dopo la vittoria napoleonica di Marengo (14 giugno 1800). Il certificato redatto dal parroco D. Raffaello Ciaperoni, si trova nell’archivio parrocchiale di Monte S. Savino.
Zannetti chirurgo
Nel 1826 si laureò in chirurgia presso la Scuola di Firenze e nel 1828 in medicina all’Università di Pisa. Nel 1830 gli fu affidato l’incarico di docente di anatomia umana presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Fu molto apprezzato dagli studenti, e uno di loro, il patriota Giuseppe Moricci (1806-1879), lo immortalò in un dipinto mentre presta soccorso ai soldati volontari toscani durante la battaglia di Curtatone e Montanara del 29 maggio 1848. Il quadro è conservato a Firenze presso la Fondazione Spadolini-Nuova Antologia.
Diventerà in seguito professore di anatomia pittorica, corografica, patologica e sublime presso l’Arcispedale di Santa Maria Nuova a Firenze, per il quale fra il 1835 e il 1837, quando l’arch. Giuseppe Martelli pose mano alla sua ristrutturazione, dettò delle prescrizioni che furono recepite per la costruzione dei nuovi padiglioni.
Nel marzo del 1848 allo scoppio della prima guerra di indipendenza, si arruolò volontario contro l’Austria e fu a capo dell’organizzazione sanitaria che aveva come scopo la cura delle ferite e non le amputazioni come nelle guerre napoleoniche (a questo proposito non si può dimenticare un altro chirurgo aretino: Antonio Viti (Arezzo 1788 – Montevarchi 1865), ufficiale medico al seguito di Napoleone Bonaparte nella campagna di Russia dove ebbe modo di conoscere il sistema Triage introdotto da Dominique Larrey (1766-1846), padre della medicina d’urgenza. Quindi la mentalità medica di Zannetti era già orientata in senso terapeutico, non soltanto a salvare la vita del ferito ma anche a conservarne il più possibile l’integrità fisica, nonostante che ancora non esistesse l’antisepsi che verrà applicata dal 1865 con l’acido fenico di Lister. Senza contare che i microrganismi e i batteri erano sconosciuti. La microbiologia e la batteriologia divennero scienze mediche intorno al 1870 con le scoperte di Louis Pasteur (1822-1895). Da aggiungere anche che la prima radiografia è del 1895.
Zannetti interveniva direttamente con strumentario che non prevedeva in prima istanza amputazioni, inoltre aveva predisposto la possibilità di trasferimento, tramite ambulanza e barellieri, in accampamento nelle retrovie dove aveva organizzato delle infermerie, tipo ospedale militare dove il ferito poteva essere curato e tenuto in convalescenza, concetti che verranno sviluppati dalla contessa Belgioioso, prima creatrice dell’assistenza infermieristica durante la Repubblica Romana.
Occorre notare anche che la chirurgia di guerra, specialmente ai tempi di Zannetti, non era da considerarsi una derivazione della chirurgia cosiddetta di pace, in quanto normalmente non aveva riferimenti a pregresse cognizioni o esperienze. D’altra parte il ferito di guerra era quasi sempre un malato grave o gravissimo e si affidava totalmente alle decisioni del chirurgo.
A seguito della battaglia di Curtatone e Montanara, Zannetti fu decorato con la medaglia d’oro al valor militare per la mirabile organizzazione degli ospedali da campo, punto di partenza per l‘organizzazione sanitaria. Non solo, ma per la sua attività medico-scientifica ottenne l’insegna dell’Ordine di San Giuseppe dal Granduca. Le cose però mutarono presto.
Sostenitore della causa unitaria mazziniana appoggiò nel 1849 il governo toscano di Guerrazzi, Montanelli e Mazzoni, che lo incaricò di istituire un esercito repubblicano: la cosiddetta Milizia Civica, di cui divenne Generale.
Con il ritorno dei Lorena nel maggio del 1849 con 15.000 soldati austriaci, Zannetti venne epurato in quanto considerato traditore e gli fu tolta la cattedra universitaria. Bisognerà aspettare il 1859, e cioè la fine del Granducato affinché fosse reintegrato nell’insegnamento universitario. Fu eletto alla Consulta Toscana e successivamente nominato Senatore del Regno.
La ferita di Garibaldi in Aspromonte
Zannetti fu un garibaldino e l’episodio che per molti motivi merita più attenzione e che lo vide protagonista è proprio la ferita di Garibaldi in Aspromonte. E’ importante soffermarvisi.
Il 29 agosto 1862 Garibaldi con circa 2.000 volontari al grido di Roma o morte! partito dalla Sicilia si trovava in Aspromonte nel tentativo di giungere a Roma con l’intento di sottrarla al potere temporale del Papa. Ma il governo Rattazzi non voleva avere problemi con l’imperatore dei francesi Napoleone III, protettore del Papa Pio IX, inviò il Gen. Emilio Pallavicini che al comando di circa 3.000 bersaglieri aveva l’ordine di fermare “manu militari” Garibaldi.
Alle ore 15,30 di quel giorno di agosto i due eserciti si fronteggiarono e si affrontarono nei pressi di Sant’Eufemia d’Aspromonte: italiani contro italiani! Garibaldi non voleva una guerra fratricida, già c’erano dei morti: 7 nelle file garibaldine, 5 tra l’esercito regio, con circa 20 feriti da ambo le parti. Garibaldi si frappose in mezzo dando ordine di non sparare sia da una parte che dall’altra, ed è proprio in quel momento che venne colpito da due palle sparate da un bersagliere (si saprà che fu il tenente Luigi Ferrari). Una colpì di striscio il Generale alla coscia destra e l’altra entrò precisamente davanti e al di sopra del malleolo interno della caviglia destra. Il primo medico che lo soccorse fu il garibaldino Enrico Albanese (Palermo 1834 – Napoli 1889), chirurgo, allievo di Zannetti e uno dei primi a credere ed applicare l’antisepsi in chirurgia. Gli tolse lo stivale e girò il piede facendogli fare tutti i movimenti senza che Garibaldi avvertisse il minimo disturbo. (Per inciso curerà anche la ferita di Garibaldi nel Monte Suello del 1866, durante la terza guerra di Indipendenza). Albanese chiese al dottor Pietro Ripari, capo dell’ambulanza dei garibaldini, il permesso di incidere la ferita. Operò con un bisturi un taglio sulla cute per la lunghezza di circa un pollice, circa 2,5 cm, ma purtroppo la palla, che lui ebbe la sensazione di aver toccato, scivolò all’indietro e la resistenza venne a mancare. Albanese avrebbe voluto procedere, ma Ripari, il comandante, ordinò di fermarsi. Fu deciso quindi di trasportare il ferito con una barella di fortuna, perché i regi avevano requisito anche l’attrezzatura sanitaria, al porto di Scilla per imbarcarlo sulla fregata Duca di Genova in direzione La Spezia. Nel tragitto la ferita fu trattata con ghiaccio. All’arrivo a La Spezia il Presidente del Consiglio Rattazzi ordinò l’arresto di Garibaldi. Così scrive Ripari nel suo Diario: “Il Governo che si diceva italiano, fatto briaco di gioia da sentire ferito e prigione l’uomo, che nella sua prostituzione alla Francia aveva ordinato fosse morto; dimentico o non curante delle universali leggi di guerra, per le quali i feriti gravi vengono depositati o alle ambulanze o nel più vicino spedale.” Garibaldi stesso nelle sue Memorie così annota: “Si usarono proprio quei metodi volgari che solitamente si usano nei confronti dei peggiori delinquenti portandoli al patibolo”. Rattazzi proprio per i fatti di Aspromonte dovrà rassegnare le dimissioni il 1° dicembre 1862. Purtroppo di queste tristi pagine ce ne sono nella storia del nostro Risorgimento!
Il 3 settembre la ferita manifestò segni di infezione con suppurazione oltre ai segni classici: dolor, calor, rubor, tumor, lesio funtionalis. Per cui furono applicate subito le mignatte e impiastri di lino. Comunque da questo momento furono molti i medici e chirurghi che visitarono l’illustre paziente. In tutto una ventina, sia italiani che stranieri. Alcuni chiamati a consulto da colleghi, altri inviati dal governo, come il dottor Porta inviato dal Rattazzi, altri ancora da italiani all’estero come il dottor Partridge da Londra, dove Garibaldi era molto conosciuto, mentre il dottor Prandina da Chiavari fu chiamato dal figlio Menotti. Napoleone III inviò il suo chirurgo personale, Auguste Nélaton (1807-1873) che visitò Garibaldi il 28 ottobre e diagnosticò la presenza del proiettile nella gamba. Nélaton fu fondamentale con i suoi consigli alla soluzione del caso. Il 30 ottobre giunse anche il chirurgo russo Pirogoff. Il giorno precedente era stato consultato il medico aretino Corrado Tommasi-Crudeli che, intravedendo un esito favorevole, fu tra quanti si opposero all’idea di amputazione del piede che taluni avevano avanzato.
Il prof. Ferdinando Zannetti invece fu chiamato, da Firenze dove abitava, dai familiari, ma soprattutto dai garibaldini che avevano condiviso con lui la stessa fede e le stesse battaglie patriottiche. Era molto stimato nell’ambiente medico. Egli giunse da Garibaldi nella serata dell’8 ottobre. Il 19 ottobre, nel giorno del suo compleanno, arrivò anche Agostino Bertani (Milano 1812- Roma 1886), il quale affermò la presenza di corpi estranei nello spessore delle ossa, cioè il proiettile. Intanto il 5 ottobre il re Vittorio Emanuele II concesse l’amnistia al Generale in occasione del matrimonio della figlia, la principessa Maria Pia, con il re del Portogallo Luigi I.
L’8 novembre Garibaldi fu portato a Pisa per essere più vicino a Zannetti che ormai dirigeva l’equipe formata soprattutto da Albanese, Basile, Ripari, a cui si aggiunsero Cipriani e Ferdinando Palasciano (1815-1891) precursore della convenzione di Ginevra del 1864 con la quale nacque ufficialmente la Croce Rossa.
Dal16 novembre furono utilizzati gli specilli fatti costruire da Nélaton apposta per questo caso: uno a punta piatta e l’altro con in cima la porcellana rugosa che a contatto con il piombo si anneriva. Prima però bisognava allargare il foro della ferita con torunde, cioè tamponi gradatamente ingrossati dal dottor Basile, che non lasciò mai Garibaldi come del resto Albanese.
Il 20 novembre fu introdotto nella ferita lo specillo di porcellana rugosa di Nélaton, prima dallo Zannetti, poi dal dottor Giuseppe Basile (1830-1867), che incoraggiato dal suo capo ambulanza Ripari, spinse con più forza rispetto al prof. Zannetti e sentì un piccolo suono metallico nel contatto con un corpo estraneo. Era sicuramente il proiettile! Basile girò più volte lo specillo nel contatto con il corpo estraneo e quando lo ritirò la porcellana era annerita per circa due terzi della circonferenza. Portò lo specillo nel suo laboratorio e confermò la presenza di piombo! Il proiettile che Albanese aveva sempre sospettato era stato trovato a poco più di 4 cm di profondità, appoggiato sulla tibia, in linea retta con l’articolazione del piede.
La sera del 22 novembre Basile introdusse la spugna con il filo per ritrarla e la radice di genziana per 4 cm. Serviva per allargare ulteriormente il foro. La mattina seguente tolse la spugna che presentava adesa una grossa scheggia ossea di 1 cm per 2, reintrodusse lo specillo di Nélaton che si fermò a 4 cm contro la palla. A questo punto intervenne Zannetti, indubbiamente il più carismatico, che con una pinzetta dentata ad anelli penetrò nel tragitto, afferrò la palla e la estrasse alla presenza di Menotti Garibaldi e di altri colleghi. Era una palla Peters a ogiva, deformata o dal contatto con l’osso o anche da un rimbalzo dopo aver colpito qualche ostacolo prima di entrare nella caviglia di Garibaldi. Fatto sta che ancora pesava 22,5 gr.
Diciannove furono i medici che visitarono Garibaldi.
Nel 1948 presso l’Ospedale S. Giovanni di Dio a Firenze, il primario Giovanni Cavina trovò un astuccio di cuoio con su scritto: “Strumenti del Senatore Ferdinando Zannetti, serviti per estrarre la palla al Generale Garibaldi”. I due specilli arrugginiti, ma non la palla, si trovano oggi presso il museo del Risorgimento di Torino. La collezione invece dei ferri chirurgici che Zannetti portava con sé nelle campagne militari si trova oggi a Firenze presso la Fondazione Spadolini, che ringrazio nella persona del suo presidente Prof. Cosimo Ceccuti per la collaborazione, così pure come gli amici “garibaldini” Bruno Milaneschi e Leone Cungi di Monte S. Savino per le ricerche dell’atto di nascita dello Zannetti.
La ferita di Aspromonte di Garibaldi fece maturare concetti nuovi in medicina. In un’epoca in cui le conoscenze scientifiche erano ancora ai primordi produsse un grande senso di responsabilità del medico nei confronti del paziente. Portò alla luce l’importanza della diagnosi certa come momento fondamentale della cura medica; l’importanza della consultazione, e il lavoro d’ equipe. Infine l’allargamento dei confini: cioè la collaborazione a livello europeo. In ultimo, ma non per importanza, il ricorso alla tecnologia. In sostanza, ci vollero tre mesi per risolvere la ferita di Aspromonte di Garibaldi, però la prudenza con cui operarono i medici diretti da Zannetti, con il contributo di altri luminari fece sì che si evitasse l’amputazione della gamba.
Zannetti, massone, fu un democratico. Militò nel Partito d’Azione, fondato da Giuseppe Mazzini nel 1853, e fu membro della Fratellanza Artigiana, una delle prime Società di Mutuo Soccorso, a testimonianza del suo impegno sociale e civile.
Si spense a Firenze il 5 Marzo 1881 ed è seppellito a Trespiano, accanto al quadrilatero garibaldino. La lapide porta questa dicitura: “Onore della scuola medica fiorentina quanto seppe quanto operò nell’insegnamento e nella pratica dell’arte volse ad altrui benefizio pietoso ed umano. Vide nell’infermo l’uomo sofferente e quando gli falliva ogni argomento di salvezza rimaneva ultimo consolatore ai morenti. Patriotta, ad ogni prova non ambì altro onore che di servire l’Italia. Benedetto dai poveri e dai ricchi morì ottuagenario in Firenze il 5 marzo 1881 e volle questo umile sepolcro confermando così i pensieri e gli affetti di tutta la sua vita”.
Alla sua scomparsa la città di Firenze gli intitolò una strada e pose una lapide in via dei Conti dove abitò. Così pure il Comune di Monte S. Savino (Arezzo) dove ancora esiste la casa natale.